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Nuove tecnologie e bambini

Un’indagine recente promossa da Ing Direct ha fotografato il mondo infantile sempre in rapido e costante mutamento.

L’indagine è servita a lanciare un’iniziativa che ha come obiettivo l’individuazione ed il sostegno di progetti che aiutano i bambini a crescere tramite un utilizzo creativo e responsabile delle tecnologie.

L’dea di base è che le tecnologie non siano né buone né cattive, ma che a fare la differenza sia l’uso che se ne fa. I bambini (1-4 anni) dimostrano una capacità precoce di apprendimento nell’uso delle nuove tecnologie e dei dispositivi tattili. Li usano senza alcuna difficoltà, imparano l’alfabeto, nuovi vocaboli e linguaggi, giocano, disegnano, fanno di conto.

Il tablet è uno strumento fantastico, ma la domanda è se l’uso fin dalla tenera età potrebbe incidere sulla creatività dei nuovi nativi digitali in erba. Con il tablet si fanno molte cose,  ma probabilmente (questa è la mia idea!)  un foglio di carta ed un pennarello potrebbero essere migliori strumenti di creatività e di stimolo alla ricerca di nuove forme di espressione individuale.

Molti timori sono espressi in genere da psicologi dell’età evolutiva che ben conoscono l’importanza della capacità creativa nei bambini da 1 a 7 anni e come possa essere penalizzante negarla o limitarla, anche dentro confini tecnologici.

Altro rischio, secondo gli studiosi, è quello di scoraggiare l’interazione sociale in anni nei quali nel cervello del bambino avvengono importanti sviluppi neuronali e neurovegetativi e, conseguentemente, una minore capacità comunicativa.

Serge Tisseron, psichiatra infantile, ha coniato la regola del 3, 6, 9, 12, che suggerisce “nessuno schermo digitale fino a 3 anni compiuti, nessuna console di videogiochi fino a 6 anni, nessun accesso ad internet fino a 9 ed accesso completo alla rete solo dopo i 12 anni”.

Spesso la stessa percezione non è condivisa da genitori e parenti, che fanno a gara a regalare ai propri pargoli dispositivi di ultima generazione come smartphone e tablet.

Ma c’è anche chi sostiene che l’uso di tali strumenti non sia negativo, ma che vada, naturalmente, affiancato sempre da un adulto.

(M.M.)

Con WhatsCall telefonate gratuite in tutto il mondo

WhatsCall è un’applicazione innovativa per sistemi Android che permette di chiamare in tutto il mondo gratuitamente sfruttando la propria connessione dati. Le modalità in cui avviene la chiamata sono due.

Se chi riceve la chiamata è connesso alla rete, la telefonata è gratuita e non ha limiti di tempo.

Nel caso in cui il numero chiamato non sia connesso ad internet, invece, è comunque possibile chiamare attraverso l’applicazione in più di 230 Paesi utilizzando dei crediti che si ottengono accettando di visionare della pubblicità (annunci e filmati pubblicitari) o invitando gli amici ad utilizzare WhatsCall. In questo modo si possono otttenere fino a 30 minuti di chiamate ogni giorno; l’interlocutore risponde alla chiamata come se fosse una normale telefonata.

L’applicazione è sviluppata da Cheetah Mobile ed include funzioni avanzate come identificazione del chiamante e blocco delle telefonate indesiderate. Le recensioni degli utilizzatori su Play Store assegnano un valore medio di 4.6 su 5 all’applicazione, con la quasi totalità di valutazioni che esprimono la massima soddisfazione. I requisiti di sistema sono Android 4.0 o versioni successive.

WhatsCall è disponibile su Play Store gratuitamente all’indirizzo che riportiamo di seguito.

WhatsCall su Play Store

Problemi di lingua? Presto risolti.

La tecnologia sta risolvendo il problema dell’incomprensione dovuto alla diversità della lingua. È stato, infatti, realizzato un auricolare che, collegato allo smartphone, permette di dialogare con un’altra persona parlando nella propria lingua e, con traduzione simultanea, consente all’interlocutore di ascoltare nella propria ciò che noi stiamo dicendo. Attualmente sono disponibili 56 lingue, ma, verosimilmente, l’applicazione si estenderà il più possibile a tante altre: un abbattimento di barriere tra i popoli.

Linee ADSL: cosa significano i termini ULL e WHOLESALE?

Quando ci si distacca da Telecom, l’operatore di telefonia alternativo può fornire il servizio in ULL o in Wholesale. Cosa significano questi termini?

ULL è l’acronimo di Unbundling Local Loop (traducibile come “accesso disaggregato alla rete locale”), ed indica la possibilità che hanno i nuovi operatori telefonici di utilizzare infrastrutture di proprietà di Telecom Italia dietro pagamento di un canone di affitto.
Quando si effettua l’ULL, i cavi e le apparecchiature prese a noleggio vengono direttamente utilizzate dal nuovo operatore, che diventa in tutto e per tutto responsabile dei servizi di telefonia resi al cliente. Quindi, le cose vanno come se esso fosse effettivamente proprietario di tutta la rete.

Nelle connessioni in wholesale – termine che significa “all’ingrosso” – i gestori comprano le ADSL da Telecom e le rivendono esattamente così come a loro consegnate. Il gestore che rivende, quindi, affitta solo la connessione, non parte dell’infrastruttura.

Questo ha una ricaduta quando un tecnico deve uscire per un guasto. Con una connessione ULL, il gestore alternativo interviene direttamente sulla struttura che ha noleggiato inviando i propri tecnici. In wholesale, invece, il gestore non Telecom riceve la segnalazione del cliente, ed essa viene girata a Telecom, proprietaria della linea.

Si può immaginare che Telecom non abbia come priorità dare il servizio ad altri operatori, anche se con essi ha stipulato un contratto; verosimilmente, darà la priorità ai propri clienti.

Da quanto esposto si capisce come la liberalizzazione sia stata fatta a metà, con Telecom ancora in posizione dominante. Etica e pratica si scontrano: con Telecom si è sempre in ULL, anche nei piccoli centri dove altri operatori non avrebbero un ritorno economico noleggiando parti di cabine ed apparecchiature Telecom. Chi sottoscrive un contratto ADSL dovrebbe essere informato sulla situazione in cui si troverà.

Il modo in cui è stata effettuata la liberalizzazione, con penalizzazione di fatto degli operatori alternativi, fa sorgere spontanea una domanda: è giusto tutto ciò?

Non buttate i vostri computer (siete sicuri che siano obsoleti?)!

Di fronte ad un oggetto rotto, quante volte ci si è sentiti dire che non conviene ripararlo, poiché il costo della riparazione supera il valore del bene? Questo approccio – che, tra l’altro, pone domande di altro genere che non tratteremo in questo articolo – è fortemente usato in campo informatico, poiché un PC diventa vecchio e non più adeguato nel giro di poco tempo (tipicamente, qualche anno).

Le cose stanno davvero così? Innanzitutto, a volte è possibile aumentare le potenzialità del computer sostituendo o aggiungendo qualche componente ad un costo di qualche decina di Euro (ad esempio, aumentare la memoria). Anche una bella ripulita può rendere nuovamente veloce il PC. Di più, se l’operazione di pulizia non è fatta regolarmente, il PC incamera file inutili che lo appesantiscono.

Se si desidera che il sistema operativo sia reinstallato (spesso ci si sente dire che bisogna “formattare” l’hard disk), ci si trova ad avere un PC come uscito dalla fabbrica. Questa operazione non dovrebbe costare più di 70 Euro, quando effettuata a regola d’arte in centri assistenza con regolare fattura.

Pensateci bene, quindi, quando un negoziante afferma che un PC è destinato alla discarica. Può capitare che, se lo affidate nelle mani giuste, possiate risparmiare una cifra – mettiamo che troviate un prodotto in offerta a 299 Euro – per un acquisto che non vi mette al riparo in ogni caso dalla tendenza di ogni PC con Windows installato a diventare via via sempre più lento.

Attenzione alle truffe informatiche: come difendersi da CryptoLocker, uno dei peggiori virus

Tra i virus informatici che complicano la vita a chi usa il computer uno, in particolare, merita attenzione: è il cosiddetto CryptoLocker. Esso è definito “ransomware“, dall’inglese “ransom” che signfica “riscatto“.
Tale virus, infatti, nelle intenzioni dei truffatori, è progettato per crittografare i dati presenti sul pc – quasi tutti: documenti office, pdf, immagini e fotografie – per riavere i quali viene chiesto un riscatto.
Il virus, una volta entrato nel pc, inizia a crittografare i suddetti dati con una complessa cifratura, solitamente impossibile da decifrare.
A lavoro di crittografia – ma sarebbe meglio dire “distruzione” – dei dati completato, l’utente riceve un messaggio che invita a pagare una somma corrispondente a qualche centinaia di euro in BitCoin (di cui abbiamo già parlato).
Anche se si volesse stare al gioco dei truffatori, dopo il pagamento del riscatto, non vi è garanzia alcuna sulla possibilità di riavere i propri dati.

Lasciando agli specialisti il da farsi una volta colpiti, quello che possiamo fare è prevenire il danno.

Il virus si diffonde tramite mail che sembrano provenire da un ente ufficiale (Equitalia, ad esempio), oppure che riguardano fatture che si stanno realmente attendendo. A queste email è allegato un file con un nome all’apparenza innocuo, ma che, in realtà, è un programma – file eseguibileche fa partire il processo di cifratura dei dati.

Per non cadere vittime di questi malfattori, quindi, bisogna, prima di tutto, tenere i propri dati sempre in due supporti diversi (una copia su chiavetta USB va benissimo). Questo vale sempre, anche a prescindere dal virus (i dischi rigidi si possono rompere ed i file si possono cancellare accidentalmente).

Poi, riguardo alla posta, cancellare le mail che non provengano da fonti certe: gli enti pubblici come Equitalia, infatti, si servono di altri canali, come la raccomandata. I malfattori giocano anche la carta della paura, spingendo l’utente ad aprire l’allegato per capire quale sia il procedimento a suo carico avviato (inesistente, in realtà).

Nella malaugurata ipotesi in cui sia iniziato il processo di cifratura, bisogna spegnere immediatamente il pc e chiedere assistenza, se non ci si sente sicuri su come procedere.

TRUFFE TELEMATICHE

Oltre 2000 solo nell’ultimo mese. Tante sono le denunce arrivate alla Polizia Postale circa una truffa che si cela nell’allegato di una mail. Se si apre l’allegato, automaticamente si insinua un programma che cripta i nostri documenti contenuti nel PC. Per decriptarli vengono chieste somme comprese fra 200 e 400 € da pagare, spesso, in bitcoin.