La “Tobin Tax“, dal nome del Premio Nobel per l’economia James Tobin, è una tassa su tutte le transazioni sui mercati valutari per stabilizzarli, penalizzando le speculazioni valutarie a breve termine e, contemporaneamente, per procurare entrate da destinare alla comunità internazionale.
Essa è applicata su tutte le transazioni effettuate tra paesi che ne sottoscrivano il trattato. La decisione sull’introduzione spetta alla Ecofin, che si è riunita qualche giorno fa per approvare o meno questa tassa, ma la decisione è stata negativa: slitta così a settembre, al prossimo congresso Eurofin, una nuova votazione per applicare o meno questa tassa.
Legge Pinto
E’ notizia di pochi giorni fa che il governo sta provvedendo al pagamento dei risarcimenti ottenuti con ricorsi alla legge Pinto avvalendosi di un accordo del 2015 con Bankitalia. L’accordo, in buona sintesi, consiste nella sponsorizzazione da parte di Bankitalia delle Corti d’Appello presso cui giacciono inevase queste pratiche di risarcimento. Sebbene i rimborsi abbiano ottenuto una certa accelerazione, la soluzione non è sufficiente ad arginare il problema. Si è quindi pensato, all’interno di Bankitalia, di ricorrere alle filiali di Bankitalia stessa supportando localmente le Corti d’Appello che devono effettuare i pagamenti. Si pensa che tutto porti ad evadere i pagamenti entro 120 giorni.
Banche popolari
E’ ormai chiaro ed evidente che il fallimento delle note quattro banche popolari è passato anche attraverso l’inosservanza istituzionale. Di questo ne sono convinte diverse fonti, compresa quella del ministro alle attività produttive Calenda che, addirittura, in una nota, propende per l’indagine effettuata da un noto programma televisivo di approfondimento. Il danno di tutte le quattro banche è enorme: si dice che ammonti a 430 milioni di euro; talmente grosso che minimo, ma minimo si può parlare di inosservanza di chi doveva vigilare.
Attenzione alle truffe informatiche: come difendersi da CryptoLocker, uno dei peggiori virus
Tra i virus informatici che complicano la vita a chi usa il computer uno, in particolare, merita attenzione: è il cosiddetto CryptoLocker. Esso è definito “ransomware“, dall’inglese “ransom” che signfica “riscatto“.
Tale virus, infatti, nelle intenzioni dei truffatori, è progettato per crittografare i dati presenti sul pc – quasi tutti: documenti office, pdf, immagini e fotografie – per riavere i quali viene chiesto un riscatto.
Il virus, una volta entrato nel pc, inizia a crittografare i suddetti dati con una complessa cifratura, solitamente impossibile da decifrare.
A lavoro di crittografia – ma sarebbe meglio dire “distruzione” – dei dati completato, l’utente riceve un messaggio che invita a pagare una somma corrispondente a qualche centinaia di euro in BitCoin (di cui abbiamo già parlato).
Anche se si volesse stare al gioco dei truffatori, dopo il pagamento del riscatto, non vi è garanzia alcuna sulla possibilità di riavere i propri dati.
Lasciando agli specialisti il da farsi una volta colpiti, quello che possiamo fare è prevenire il danno.
Il virus si diffonde tramite mail che sembrano provenire da un ente ufficiale (Equitalia, ad esempio), oppure che riguardano fatture che si stanno realmente attendendo. A queste email è allegato un file con un nome all’apparenza innocuo, ma che, in realtà, è un programma – file eseguibile – che fa partire il processo di cifratura dei dati.
Per non cadere vittime di questi malfattori, quindi, bisogna, prima di tutto, tenere i propri dati sempre in due supporti diversi (una copia su chiavetta USB va benissimo). Questo vale sempre, anche a prescindere dal virus (i dischi rigidi si possono rompere ed i file si possono cancellare accidentalmente).
Poi, riguardo alla posta, cancellare le mail che non provengano da fonti certe: gli enti pubblici come Equitalia, infatti, si servono di altri canali, come la raccomandata. I malfattori giocano anche la carta della paura, spingendo l’utente ad aprire l’allegato per capire quale sia il procedimento a suo carico avviato (inesistente, in realtà).
Nella malaugurata ipotesi in cui sia iniziato il processo di cifratura, bisogna spegnere immediatamente il pc e chiedere assistenza, se non ci si sente sicuri su come procedere.
Prosciutti avariati sequestrati
Le ormai famose 40 tonnellate di prosciutti crudi, sequestrati giorni orsono dai Nas dei carabinieri, non sono entrate sul mercato. Se ciò fosse accaduto, avrebbero permesso di realizzare un introito compreso fra i 300 mila e i 400 mila Euro.
Lascia perplessi l’importo della sanzione comminata: appena 14 mila Euro. Ma come fanno a dissuadere la malavita con sanzioni che non sono nemmeno un decimo di quello che avrebbe portato la vendita truffaldina?
Salute addio: 11 milioni di italiani non si curano per il costo eccessivo
Passano da 9 a 11 milioni gli italiani che non si curano per tanti motivi, primo tra i quali il reddito, non sufficiente per versare i ticket o fruire della sanità privata.
È da notare che il cittadino che usufruisce dei beni relativi alla salute è comunque un consumatore, in quanto chi fornisce il prodotto sanità è un’azienda: le strutture che erogano questi servizi, infatti, si chiamano aziende sanitarie locali.
Anche questo genere di prestazione – è bene sottilinearlo – ricade sotto il codice del consumo, e l’azienda che fornisce il “bene salute” è l’azienda sanitaria locale.
Altro dato allarmante è quello della diminuzione della durata della vita media, calato proprio in concomitanza con il calo del numero degli utenti della sanità pubblica.
Banche popolari
Non v’è pace tra i risparmiatori delle Banche Popolari truffati. Sono innumerevoli le manifestazioni in cui essi, giustamente, chiedono il risarcimento dei propri danari. Nonostante il decreto salva banche, gli animi non si placano, e con giusta ragione. Pochi sono i risparmiatori che verrebbero risarciti, e con cifre tutto sommato esigue. L’unica loro speranza si ripone nella costituzione di parte civile quando verrà avviato il processo penale.
Diritto di chiamata
Molte volte, quando ci si rivolge ad un riparatore di elettrodomestici, questi effettua l’intervento, pretendendo, alla fine dello stesso, un diritto di chiamata. Tale voce, solitamente quantificata in poche decine di euro (da 20 a 40), non esiste come diritto, ma deve essere un accordo preventivo all’intervento stesso intercorso tra le parti.
Questo è bene chiarirlo, perché molti riparatori, facendosi forza dell’ignoranza del consumatore, intervengono e, al termine, pretendono una somma di denaro. Questa somma non è dovuta, anche se è bene non arrivare ad un contenzioso, che porterebbe ad un disagio in caso di ulteriore intervento.
I compiti a casa ( parte prima)
Perchè non si debbono aiutare i figli a fare i compiti a casa?
Lo sostengono i pedagogisti e lo conferma un recente studio americano.
Ci sono molti motivi che spingono una mamma o un papà ad aiutare il proprio banbino nello svolgimento dei compiti a casa. Gli si vuole dare una mano, perchè lo si vede in difficoltà, per alleviargli il fardello, perchè è stanco…per avere l’orgoglio di saperlo il primo della classe.
Uno studio americano afferma che l’intervento dei genitori nelle attività scolastiche è semplicemente inutile e in alcuni casi dannosa.
Gli studiosi hannno sondato diversi frangenti in cui i genitori si inseriscono nel percorso scolastico del figlio ( compiti, rapporti con l’insegnante…) e i risultati confermano che i genitori più “interventisti” non hanno accresciuto il successo, anzi in molti casi è stato ostacolato.
Daniele Romano scrive sulla rivista pediatrica UPPA:
” I nostri figli hanno i compiti da fare e punto molto importante, li devono fare loro. Se un senso i compiti ce l’hanno è quello di consolidare gli apprendimenti, stimolare l’autodisciplina e responsabilizzazione. L’intervento continuo dei genitori da questo punto di vista ha degli svantaggi”.
L’esperto sottolinea che intervenendo si impedisce ai bambini innanzitutto di trarre benefici dagli esercizi , quindi di imparare quello che il programma scolastico propone, ma si limita anche la possibilità di mettersi alla prova , di sviluppare la capacità di impegnarsi, di accettare la fatica.
Se il genitore ha il dubbio che la mole di lavoro sia tanta non deve assolvere i doveri del figlio, ma esplicitare le proprie riserve con l’insegnante.
“Certo che si fa fatica” e continua affermando che nella nostra società, tutta immagini e velocità, approcciarsi ai libri, alle richieste di impegno, allo studio appare difficile ad un ragazzo che è immerso nella cultura del Web, del tablet , dello Smartphone che dà sempre la risposta giusta alla velocità della luce. E’ proprio compito dei genitori “legittimare l’importanza dell’impegno”. Monitorare va bene, aiutare un po’ meno se significa “risolvere”. Se un bambino non capisce qualcosa lo si deve invitare a rivedere la regola o la lezione, non suggerirgli la risposta esatta.
Nemmeno la correzione a fine compito è utile: è l’insegnante, nel contesto scolastico, che troverà gli errori, li correggerà e provvederà, se necessario, a rispiegare quello che non è stato compreso.
La funzione dei compiti è consolidare l’apprendimento e favorire la capacità di impegnarsi del bambino.
L’aiuto del genitore può essere quello organizzativo, nel decidere un orario da rispettare , che sia un ambiente tranquillo, ben illuminato e privo di distrazioni (TV, Smartphone…), nel fargli fare la pausa, nell’invitare qualche volta amici per studiare insieme (“attivazione reciproca e l’imitazione per favorire e stimolare i processi di apprendimento”).
E soprttutto senza criticare, correggere ma premiando i successi e gratificando l’impegno.
(M.M.)
Cos’è l’anatocismo: interessi sugli interessi
“Anatocismo” è una parola poco conosciuta. E’ usata nel settore bancario per indicare gli interessi calcolati sugli interessi; con questo metodo si agisce come se gli interessi concorrano a far parte del capitale e, come tali, possano produrre interesse a loro volta.
E’, infatti, costume abbastanza diffuso (anche se leggermente in calo), quello di far pagare ai correntisti interessi sugli interessi quando si parla di interessi negativi.
Per meglio comprendere, è bene fare un esempio. Quando un consumatore si presenta in banca e chiede un mutuo o un prestito, concorda un tasso di interesse negativo. Spesso, senza accorgersene, il consumatore paga interessi negativi sul mutuo o sul prestito ricevuto, ai quali si aggiungono gli interessi calcolati sugli interessi negativi. Questo metodo si chiama anatocismo ed è severamente vietato dalla legge. Chiunque sia soggetto ad anatocismo, quindi, si deve rivolgere ad un’associazione di consumatori oppure ad uno studio legale per intimare all’Istituto che applica questo metodo di restituire tutti gli interessi sugli interessi, ovvero tutto il ricavato dell’ anatocismo.