C’è una battuta nel film di Mario Monicelli “Il marchese del Grillo” in cui il nobile romano, ai compagni di gozzoviglie incappati in una pattuglia di gendarmi, e da questi riconosciuto e liberato con tante scuse, dice “ Ah….me dispiace, ma io so io…….e voi non siete un cazzo!”
Credevamo che situazioni simili fossero relegate ormai alla satira cinematografica sulla Roma papalina, ma a ben guardare, qualcosa di analogo l’abbiamo appreso da questa notizia di venerdì su Radiocor: “L’amministratore delegato del Monte dei Paschi Fabrizio Viola ha percepito dalla banca l’anno scorso 1.791.000 euro per gli emolumenti 2013 nonostante il tetto teorico dei 500mila euro imposto dalla Commissione Europea per il piano di ristrutturazione della banca. E’ quanto si legge nella relazione sulla remunerazione predisposta dalla banca in vista dell’assemblea di fine aprile consultata da Radiocor. La relazione riporta il tetto di 500mila imposto ai livelli retributivi del management del gruppo che per Viola ha significato la rinuncia a emolumenti da 3,5 milioni massimi derivanti dal suo contratto (1,4milioni fissi e 2,1 di variabile massimo potenziale). Il top manager tuttavia l’anno scorso ha ricevuto 1.389.000 euro per la carica di direttore generale e altri 402mila euro per quella di amministratore delegato, indennità originariamente sospesa per la richiesta di Bruxelles e poi ripristinata “in seguito del venir meno dei presupposti della rinuncia”. A Viola, inoltre, la banca ha riconosciuto un importo transattivo da 1,2milioni che potrà ricevere una volta che ci sarà “la sottoscrizione degli impegni vincolanti per l’aumento di capitale della banca”.
Di fronte a queste cifre uno si chiede: ma di cosa stiamo parlando?
Noi comuni mortali avevamo plaudito alle prescrizioni di Joaquin Almunia al Governo italiano, rese note dal Financial Times, che richiedevano il contenimento delle retribuzioni del top management del Monte dei Paschi entro i 500 mila euro.
E adesso veniamo a scoprire che le suddette limitazioni hanno comportato per Fabrizio Viola la “rinuncia” a 3,5 milioni di euro, costringendolo ad accontentarsi di soli 1.791.000.
Apprendiamo cioè che, proprio nel corso dell’ annus horribilis 2013, in cui ai lavoratori sono state imposte 6 giornate di solidarietà, la disdetta dei contratti integrativi con tutto quello che ciò comporta, la cancellazione di Vap e Sistema incentivante, una cura da cavallo di pressioni commerciali, il nostro Ad si è dovuto accontentare di soli 4.906 euro al giorno, sabati e domeniche comprese.
Diciamocelo francamente, questa è una notizia che prima ci fa incazzare, e poi ci fa male.
Ci fa male perché è irrispettosa delle prescrizioni comunitarie, sempre invocate dai potenti quando sono a danno dei più deboli, ma soprattutto perché è uno schiaffo ai sacrifici dei lavoratori del Monte dei Paschi di Siena!
E purtroppo non è solo il problema dello stipendio di Viola, pur inaccettabile. E’ un problema generale della “casta”, sia politica che economica, che in questo Paese finora è sempre riuscita a aggirare qualsiasi limite, attribuendosi privilegi ed emolumenti che gridano vendetta di fronte ai milioni di pensionati sotto i mille euro, ed ai milioni di disoccupati e cassintegrati.
Chissà per quanto ancora ci toccherà di vedere loro Signori, novelli “marchesi del Grillo”, continuare a dire “ ma io so io…… e voi non siete un cazzo!”
Commentato doverosamente lo stipendio di Viola, e ritornando alle vicende del Monte, le notizie del “patto” stretto con due Fondi sudamericani impone qualche riflessione.
Come osserva argutamente Andrea Greco su La Repubblica: “…..Che paradosso: tra 2008 e 2012, regnante sulla città-banca Giuseppe Mussari, la Fondazione s’è dannata a difendere prima il 51% poi il 33% nella banca, e contava quasi nulla. Ora che quelle scellerataggini forzano a vendere un terzo del capitale Mps, l’ente di Palazzo Sansedoni fa leva sul 2,5% e incide sei pagine dense di futuro. Con il patto di lunedì e pubblicato ieri con i compratori messicani e brasiliani con cui trattava da mesi, l’ente pone le basi per avere la maggioranza dei voti assembleari, e così esprimere un suo presidente, più due consiglieri e un certo presidio sull’istituto secolare. «Ci auguriamo che il patto possa diventare un polo di aggregazione per il futuro — ha detto la presidente della Fondazione Mps, Antonella Mansi — ma le valutazioni su possibili futuri aderenti andranno fatte quando conosceremo i nuovi azionisti, dopo l’aumento ». Mentre il presidente di Mps Alessandro Profumo ha detto: «La Fondazione ha fatto una scelta di stabilità perché c’è anche un lock-up, credo sia un segnale di volontà di accompagnamento della banca». Circa possibili cambiamenti nella governance Profumo ha aggiunto: «Da due anni la banca ha cambiato moltissimo i modi di funzionamento. Abbiamo cambiato due volte lo statuto e oggi assicuro che Mps è una best practice nella governance».
Un antipasto dei nuovi assetti si avrà nell’assemblea del 29 aprile per l’esame del bilancio Mps (-1,4 miliardi). Ma i giochi veri inizieranno a luglio — quando si saprà chi ha messo i 3 miliardi volti a restituire il prestito pubblico Monti bond — e finiranno ad aprile 2015, quando scadranno i vertici guidati da Profumo e dall’ad Fabrizio Viola. I tre pattisti si sono impegnati a non vendere le quote sindacate per un biennio (Btg per 16 mesi), e se la vedranno con il fondo Blackrock, primo socio al 5,75%, che ha ribadito l’ottica di lungo termine e il disinteresse per poltrone e ruoli attivi. Ci saranno poi Axa, partner al 4%, e qualcuno tra gli attuali investitori di corto raggio. Per loro, molto dipenderà dalla quotazione: dopo il +50% di marzo (ma – 0,39% a 0,283 euro ieri) l’ex depressa Mps tratta a quasi 1,5 volte il libro tangibile, e i venditori allo scoperto come Algebris, Wellington, Odey sono tornati a scommettere su una correzione, anche in vista del doppio esame dell’Aqr e dello stress test Bce, che a novembre dirà se serve nuovo capitale a Siena e in altre 129 banche d’Europa. Davide Serra, fondatore di Algebris, stima che per allineare le coperture creditizie a quelle di Intesa Sanpaolo il Monte avrebbe bisogno di un aumento da 6 miliardi; ma la delega assembleare di dicembre parla chiaro: 3 miliardi «non prima del 12 maggio 2014». Pare più probabile, se deficit patrimoniali emergessero, che siano materia del 2015, quando spetterà a Fintech e Btg Pactual scegliere se confermare l’Ad”.
Che dire?
Che dopo le turbolenze dei mesi scorsi, quello che arriva sembra essere un messaggio di stabilità. E di normalizzazione. Scomparsa l’anomalia della Fondazione-padrona, si è creato un nucleo stabile di azionisti che vuol diventare punto di riferimento del futuro governo dell’azienda, magari aggregando altri soci-investitori. Non a caso, il patto indica nel dettaglio obblighi e prerogative di ciascuno.
La Fondazione Mps indicherà tra gli eletti in consiglio il nome da proporre alla carica di Presidente del Monte, e i due partner azionisti, Fintech e Btg Pactual, sempre all’interno del cda, quello destinato al ruolo di Amministratore delegato. Entrambi i candidati dovranno ottenere la preventiva approvazione incrociata dei “pattisti”, con la puntualizzazione che nessuno «potrà essere ingiustificatamente rifiutato».
E vissero tutti felici e contenti?