Anche oggi vi propongo un’intervista ad un personaggio che è stato per otto anni dipendente, presso la filiale di San Martino di Lupari, dell’ allora Banca Antoniana di Padova e Trieste, e che poi, attraverso varie esperienze professionali, arriva a fondare Banca Mediolanum.
Avrete certamente riconosciuto Ennio Doris, forse il “tombolano” più noto, che domenica ha concesso a Gianni Favero del Corriere del Veneto questa intervista: «Chi lavora nelle filiali bancarie già oggi non ha niente da fare per il 61% del suo tempo». Annuncia così il suo arrivo a Padova il presidente e amministratore delegato di Banca Mediolanum, Ennio Doris, che da domani ospiterà i suoi promotori finanziari della Città del Santo in un «Palazzo d’artista» ricavato dalla ristrutturazione del vecchio edificio direzionale di piazza Bussolin e della zona antistante.
L’inaugurazione dei nuovi uffici di Banca Mediolanum – che ospiteranno tra gli altri le opere di Andy Warhol, Keith Haring, Giuseppe Santomaso e Mario Schifano (domani per l’inaugurazione ci sarà anche il maestro Giovanni Allevi) – è anche l’occasione per fare il punto sul futuro delle banche venete e sui modelli di sviluppo finanziario già visibili in Europa settentrionale.
Presidente Doris, secondo lei non ci sarà più spazio per le reti di filiali con direttori e sportelli alle quali siamo abituati? «Intendiamoci, il direttore è necessario e ci sarà sempre, ma adesso lo chiamiamo family banker. Non sarà più il cliente ad andare da lui ma viceversa. E solo per le operazioni meno semplici. Per il resto si farà tutto su pc, tablet e smartphone» .
Non le sembra un disegno estremo? «Per niente. Negli ultimi due anni il 40% delle operazioni ordinarie che si facevano in filiale sono uscite e si fanno on line. E’ l’unica strada per ridurre i costi dei servizi».
Sta dicendo che c’è un sacco di forza lavoro che non serve più? «Non lo dico io, ma i numeri. Lo scorso anno in Italia ha chiuso il 4% degli sportelli, cioè 1.200 su 30 mila, vale a dire 100 al mese. Nell’Europa settentrionale su 100 filiali attive nel 2006, fra due anni ne saranno sopravvissute appena 47. Qui siamo in ritardo di un quinquennio e infatti nel 2016 saranno 85».
In questi anni, però, pare che il rapporto diretto fra cliente e istituto di credito sia stato rivalutato. I network di piccole banche, come quelle di Credito cooperativo, è spesso appar-so come il vero salvagente per le piccole imprese in deficit di liquidità. Non è d’accordo? «No. Fra pochi anni guarderemo alle Bcc co-me a carrozze trainate da cavalli».
Le Bcc saranno costrette a chiudere tutti gli sportelli? «Sì. A meno che non affrontino una seria aggregazione, che deve essere almeno a livello regionale. Ma credo che ancora non basti».
Cosa c’è, di decisivo, che le piccole banche non saranno più in grado di fare? «Pensiamo solo ai necessari investimenti nelle nuove tecnologie. Noi di Banca Mediolanum, quest’anno, semplicemente per dare modo al cliente di fare acquisti pagando con il telefo-nino, una cosa che in breve faremo tutti, abbiamo speso 133 milioni di euro. Le piccole banche come pensano di trovare la forza di investire e diventare competitive?»
Però c’è anche una clientela di imprese che chiede alle banche regole diverse. «Non c’è speranza per questo. È un vicolo cieco. Le ri-chieste dei piccoli operatori di avere regole differenziate rispetto ai parametri stabiliti da Basilea 3 (gli accordi interbancari di vigilan-za) non saranno accolte. Queste regole sono e saranno tassative per tutti. Insomma, il decli-no dei piccoli istituti è inesorabile»
Rimanendo sul tema del rapporto fra il siste-ma del credito e le imprese, si sta accentuan-do una discussione sui criteri di rating. L’università di Venezia ha in questi giorni presentato un possibile modello alternativo che dimostra gli errori degli schemi di Basilea e che suggerisce, ad esempio, di tenere conto della filiera in cui è inserito l’affidatario «Giustissimo. Se studi il cliente non come soggetto isolato ma assieme ai suoi partner più stretti hai una visione moderna e più cor-retta del possibile sviluppo della sua azienda»
Allora è d’accordo con chi contesta alle ban-che italiane l’eccessiva prudenza nel ricono-scere fiducia ad imprese che stanno per parti-re? «No, perché spesso si compie l’errore di fare confronti con gli Usa. Lì sulle idee si in-veste, che è cosa diversa dal finanziarle. Ci sono società di emanazione bancaria che si comportano da venture capital e ci sono ban-che che fanno da intermediarie di obbligazio-ni emesse dalle stesse aziende. Negli Usa l’economia è finanziata dalle banche per ap-pena il 30%. Qui ci vorrà una generazione per cambiare i comportamenti in questa direzio-ne».
Ho ritenuto interessante proporvi questa in-tervista perché Ennio Doris, al di là delle esi-laranti imitazioni di Crozza, con l’insuperabile “consumador”, rappresenta un banchiere che ha sempre cercato di adeguare il suo modello di banca alle nuove tecnologie, e di conse-guenza alle esigenze di innovazione della clientela. Un modello che, volenti o nolenti, ha sublimato l’internet banking e la banca multicanale.
Venendo alle dichiarazioni di Doris, sicura-mente non concordo con la sua affermazione che presso gli sportelli bancari oggi non si fa niente per il 61% del tempo di lavoro. Non so che banche frequenti il nostro Doris, ma que-sto non è vero, per lo meno presso le filiali del Monte dei Paschi!
Per il resto Doris riprende le tematiche che conosciamo bene, perché sono le stesse che l’ ABI ci propina da qualche anno: drastico calo degli accessi agli sportelli in conseguenza dell’home banking, surplus di personale nelle Banche anche a causa della chiusura delle fi-liali, relativamente alla quale secondo lui siamo in netto ritardo rispetto agli altri Paesi europei.
Sicuramente avranno fatto i debiti scongiuri i colleghi delle Banche di credito cooperativo, che secondo Doris verranno viste fra qualche anno come “carrozze trainate da cavalli”.
La causa? L’impossibilità per le piccole Ban-che di fare i necessari investimenti nelle nuo-ve tecnologie.
Su questo tema debbo dire che concordo con Ennio Doris.
Si riaffaccia ancora una volta la vexata quaestio se sia meglio per le Banche essere “grandi” o “piccole”?
Francamente penso che il problema sia oggi un po’ diverso. Non ritengo che la dimensione sia di per sé un elemento discriminante. Il problema di oggi e di domani per le Banche è e sarà la redditività. E sicuramente resteranno in piedi solo le banche ben capitalizzate, in grado di produrre utili veri.